RECENSIONI, IMPRESSIONI ED EMOZIONI DAL TOUR ITALIANO 2022
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Milano 12 ottobre - Copyright foto Francesco Prandoni

Bridge Curon
Eric Clapton e lo storico, tanto atteso ritorno in Italia

L’elogio dell’attesa ha sempre avuto un discreto fascino tra poeti, pensatori, filosofi e teologi, in quanto incarnante una virtù, considerando quasi un piacere aspettare che giunga una cosa bella. A volte si è anche scavalcato il concetto, arrivando a definire più gioiosa l’attesa rispetto all’avvenimento stesso.
Nel caso di
Eric Clapton mi risulta difficile avallare questi pensieri, anche perché era dal 2006, senza considerare la fugace apparizione per Pino Daniele di cinque anni dopo, che mancava una sua data in Italia. La pandemia e la sua defezione proprio per Covid hanno dilatato fino ad Ottobre ’22, rispetto al previsto 2020, il ritorno nel Belpaese. Quasi da non crederci più!
Ma vederlo in ottima forma e di buonumore sul palco -soprattutto nella prima data di Bologna-, tanto da mettersi a un certo punto la mano all’orecchio per chiedere scherzosamente ancora più clamore alla folla, osservare anche un nugolo di giovani riempire i palazzetti sold out e udire una vera e propria celebrazione di affetto nei suoi confronti da parte di tutti i fan mi ha commosso e inorgoglito. Sì, ne valeva davvero la pena.
Le aspettative erano parecchie, amplificate dal lungo tempo trascorso, ma non un secondo del concerto è andato sprecato, è stata un’indescrivibile emozione per ognuno di noi, anche per me che, in verità, per non perderlo in tutti questi anni l’ho seguito in giro per l’Europa, ma finalmente ho potuto godermelo pure nella mia terra, dopo il primo dei numerosi e straordinari incontri con la sua musica live nel 1990, al Palatrussardi, durante il Journeyman Tour. E proprio non lontano da quel periodo arriva l’opener
Tearing Us Apart, che serve da riscaldamento per l’ugola e la chitarra di Slowhand. Katie Kissoon duetta con lui e Doyle Bramhall II spadroneggia nei riff e nel primo assolo, fino alla zampata finale di Eric. Eccolo, è lui, con il suo suono unico, denso, intenso.
Key to the Highway e Hoochie Coochie Man volano via veloci, quest’ultima con Doyle che a tratti insaporisce le trame chitarristiche con il bottleneck e poi arriva il primo momento top: una River of Tears da favola, vicina all’arrangiamento originale presente in Pilgrim. Profonda, vissuta, sofferta e qui scende la prima lacrimuccia, prima dei brividi dell’assolo in I Shot the Sheriff, un qualcosa di così suggestivo che non si sentiva da tempo in una data dal vivo. Quando si dice metterci il cuore.
A parlare è la Musica, e non solo.
Eric è più ciarliero del solito -mi riferisco in particolare sempre a Bologna-, se la sta spassando, come anche ci racconta, nel mentre di un set acustico reso solido dalla rara Country Boy di Muddy Waters, con Bramhall in un’insolita veste da bluesman all’armonica, e da una tosta versione di After Midnight, quest’ultima nell’arrangiamento usato per The Lady in the Balcony. La prima canzone della sezione unplugged è diventata il momento per i buongustai e amanti delle “varianti”. Si tratta del frangente in cui Clapton concede cambiamenti in scaletta e spesso utilizza la Gibson donatagli da J.J. Cale. Negli show successivi, eseguirà una sentita Honey Bee e Driftin’. Per il resto Nobody Knows You When You’re Down and Out e Layla, che presenta fra le altre bellezze un breve assolo al contrabbasso dell’irrefrenabile Nathan East, scivolano via tra il tripudio della folla, mentre Tears in Heaven incorpora un breve toccante tributo al compianto Gary Brooker.
Un altro highlight delle serate sopraggiunge con
Badge, potente, tonitruante, tiratissima. Non solo la magia di Slowhand, ma anche un poderoso Sonny Emory. Wonderful Tonight forse è un po’ sottotono, sarebbe una buona idea sostituirla ad esempio con Holy Mother, ma probabilmente verrebbe scontentata la massa, quindi ascoltiamola, gonfiamoci il petto nel sentire al termine dell’esecuzione Slowhand esclamare “Very Nice” riferendosi alla risposta della gente, e appropinquiamoci a un’altra parentesi blues con la vivida Crossroads, ben eseguita grazie a un piacevole intro chitarristico, e The Sky is Crying, fresco ripescaggio in scaletta dopo lunghi anni -era dall’84 che non veniva performata- per questo tour e quello recente americano. Suonata nella stessa chiave di Little Queen of Spades è una gradevole diversificazione e, oltre a enfatizzare lo strapotere della Strato di Eric, permette la presentazione al pubblico per la “standing ovation” dei tre solisti nel brano, i fenomenali Paul Carrack, Chris Stainton e il già menzionato Doyle Bramhall II.
Se prima l’attesa era risultata interminabile, ora tutto scorre nei 100 minuti scarsi dello show. Un’adrenalinica
Cocaine -in particolar spolvero sempre a Bologna, ove nella Night 1 regalerà un plettro, avvenimento rarissimo, interagendo con un fortunato spettatore, ma anche notevole a Milano, grazie a un pregevole e prezioso solo di wah wah- chiude prima del bis, High Time We Went, cantata da Carrack e con Sharon White e Katie Kissoon sugli scudi. Per amore spassionato ci si dimentica anche delle pecche, perché è davvero oltraggioso concludere il concerto con questo vigoroso brano di Joe Cocker e Stainton senza aggiungerne un altro a ciliegina sulla torta, in cui magari Clapton canti e svisi maggiormente come solo lui sa fare. Tuttavia in serate del genere si perdona tutto e ci si lascia andare leggeri e felici, rallegrandosi di veder uscire dal palco questo Gigante della Chitarra sorridente, avvolto e abbracciato da un boato finale, tra un tripudio di saluti calorosi e urla d’affetto. Un uomo che non necessita di nessun trucco o captatio benevolentiae mentre è on stage. Bastano il suo smisurato amore per la musica, il suo cuore, la sua storia, le sue avventure, le sue tragedie, le sue gioie trasmessi dal magico suono della sua chitarra per capire la sua sincerità e la sua missione: far star bene le persone. Grazie EC!
Mi permetto di aggiungere alcune considerazioni a chiusura di questo ritorno epico in Italia.
Ditemi se queste non sono situazioni di Immensa Bellezza:
-Vedere un artista incredibile come
Robben Ford fungere da opener per le tre serate, con felicità e umiltà, e gioire della possibilità avuta di duettare con lui su High Time We Went in Bologna Night 2 e Milano. A proposito gran bei concerti e ottima band, caro Robben!
-Assistere a un continuo scambio di sorrisi tra
Eric e i suoi musicisti, segno di reciproca stima e affettuosa condivisione di ogni momento dello spettacolo. E pensare che Doyle Bramhall II ha finito di suonare con gli Arc Angels a Forth Worth, in Texas la notte del 7 Ottobre e il 9 è lì, bello tonico a Bologna… a questi il jetlag fa un baffo!
-Scoprire che due personaggi -nonché fan- epici, collegati in vario modo al chitarrista inglese e con alle spalle centinaia di show ammettono candidamente di non aver dormito la notte, dopo la prima data a Bologna, per l’eccitazione e felicità vissuta nel vedere
Clapton così in forma e contento. Se non è amore questo…
-Leggere le recensioni appassionate di una bravissima giornalista.
-Osservare con emozione uno dei più grandi scrittori italiani di
Eric Clapton che letteralmente perde la testa assistendo in prima fila allo show di Milano.
La verità è una sola, la Musica unisce e quanto mai, in questo momento, ne abbiamo bisogno.


Andrea Rossi

Non pensavo che Eric Clapton sarebbe più tornato a fare concerti in Italia.
Mancava infatti nel nostro paese dal tour 2006 (se escludiamo il concerto benefico insieme a Pino Daniele nel 2011).
Non ne conosco il motivo, ma Eric ogni anno girava l’Europa saltando categoricamente l’Italia.
Quindi potete immaginare la mia emozione il 2 ottobre 2019 quando ho letto la notizia che Eric sarebbe tornato a suonare in Italia nel 2020! WOW! Non mi sembrava vero!
Però, come se non bastasse la già lunga attesa patita, la sfortuna ha voluto aggiungere ancora del pathos, con la pandemia da Covid-19 a bloccare tutto. Tutto era pronto per Maggio 2022, quando ancora un colpo di scena (Eric positivo al virus) fece slittare nuovamente i concerti ad ottobre.
E’ stato quindi bellissimo finalmente prendere l’autobus per raggiungere Bologna, la domenica del 9 ottobre.
In città e nei pressi dell’arena si respirava l’aria dell’evento, di qualcosa di storico che stava per avvenire. Eric Clapton era tornato per regalarci la sua musica e le emozioni con la sua chitarra.
I suoi 77 anni ed i suoi numerosi acciacchi potevano far sorgere qualche perplessità sulla qualità della performance, ma vi assicuro che fin da subito egli ha spazzato via ogni dubbio a tutti i fortunati presenti. Eric c’è, ed è anche in buona forma! Le sue mani si muovono sapienti e fluide sullo strumento, evidenziando (se ce ne fosse ancora bisogno) una padronanza eccezionale. Eric e la chitarra sono una cosa sola, un tutt’uno. Quando è entrato sul palco, dopo aver salutato il pubblico in italiano, l’ho visto prendere la sua Fender Stratocaster e nella mia testa mi è subito venuto in mente l’immagine di un eroe d’altri tempi che imbraccia la sua spada. Clapton con la chitarra diventa invincibile!
Il pubblico è stato davvero entusiasta e caloroso, e mi ha riempito di felicità e di fierezza vedere Eric apprezzare l’accoglienza italiana. L’ho visto annuire, sorridere, quasi commuoversi in certi momenti. Su Cocaine, ha anche lanciato il suo plettro verso il pubblico! In moltissimi anni, non l’ho mai visto fare una cosa del genere.
Prima del set acustico ha detto più o meno queste parole: Vi state divertendo perché anche io mi sto divertendo. Poi ha aggiunto
“I don’t know what the hell I’m doing but I’m enjoying it anyway”.
Poi durante l'esecuzione di Layla, ha esclamato
“It sounds so sweet”. Il pubblico stava cantando appassionato insieme a lui.
La scaletta è stata uguale a quella degli ultimi spettacoli americani di settembre, con Tearing us apart come pezzo di apertura, seguito da due classici blues come Key to the highway e Hoochie coochie man.
Poi la splendida River of tears, malinconica ballad scritta di suo pugno da Slowhand, con un finale in crescendo sublime. Non è un problema se a qualcuno dei 15.000 e più spettatori sia scesa davvero qualche lacrima.
Segue poi I shot the sheriff, impreziosita da un assolo di Eric tra i più belli degli ultimi anni, gustoso, sentito, energico.
Seguono poi 5 pezzi acustici, con un Eric più riflessivo, con il momento che molti aspettavano: l’accoppiata Layla e Tears in heaven, eseguite una dietro l’altra.
Si torna in elettrico con una potentissima Badge, per me l’apice della serata. Un’esecuzione con un tiro ed un’energia pazzesche, tutta la band in gran spolvero. Si riprende fiato con la ballad per eccellenza, la sua Wonderful tonight, poi un altro pezzo dei Cream, una ruggente Crossroads.
Si arriva allo standard blues dilatato di The sky is crying dove anche gli altri musicisti prendono il loro spazio ed i meritati applausi con i loro assoli.
Chiusura del set con Cocaine, con il pubblico in visibilio ad urlare
“She don't lie, She don't lie, She don't lie, cocaine”.
Unico bis il brano di Joe Cocker High time we went dove anche qui c’è spazio per apprezzare ancora la qualità della band che accompagna Eric sul palco, davvero una super band.
Si esce dall’arena consci di aver visto ancora una volta un pezzo di storia della musica, uno dei più importanti, un artista ed un uomo che ne ha passate di tutti i colori ma che ha sempre vissuto per la musica. Lo ha esaltato nei momenti più belli, e soprattutto lo ha salvato nei momenti difficili. E questo traspare immediatamente ascoltando la sua voce calda e rassicurante, e le sue benedette mani scorrere sulle corde della chitarra. La musica è la sua vita. Io ho cercato di gustare ogni singola nota, come si gusta un bel vino invecchiato. Ho cercato di fare il pieno di sensazioni ed emozioni. E’ difficile trovare le parole giuste per raccontare il concerto e le vibrazioni che mi ha suscitato, mi vengono in mente solo tanti aggettivi superlativi ma mi rendo conto che non ne posso abusarne. D’altronde se amate anche voi Eric Clapton, non ce n’è neanche bisogno. Basta pronunciare il suo nome e cognome.

Vittorio Piccin

E finalmente ci siamo, dopo oltre 2 anni di rinvii, dopo 16 anni dall' ultima volta in Italia e soprattutto dopo oltre 38 anni dalla mia prima volta (Milano 84), la serata tanto attesa è arrivata.
La Unipol Arena non avrà il fascino della Royal Albert Hall, ma il colpo d occhio è veramente notevole; ho solo qualche timore per l acustica, timore che verrà spazzato via già durante il set di Robben Ford (tra l altro molto gradevole): il suono è veramente eccellente per quell enorme caverna, anche se forse la chitarra di Eric, almeno dalla mia posizione, non era abbastanza "presente".
Che dire ? Eric non si discute, lo conosciamo bene, anche con i suoi "difettucci" ( si fa per dire ...): i set si sono accorciati (ma per fortuna che a 77 anni è ancora in tour !), le scalette sono sempre più fossilizzate (abitudine ormai pluridecennale...), stage minimalista (ma non cerchiamo certamente spettacoli pirotecnici ad uno show di Eric).
Tearing Us Apart in apertura forse non è il massimo (la maggior parte delle persone attorno a me non aveva neanche idea di quale canzone fosse), ma diciamo che può andar bene per "scaldare i muscoli"; dopodiché lo show è un crescendo continuo, con note di merito per i classiconi tipo I Shot The Sheriff.
Gradevolissima anche la parte acustica, anche se secondo me non si addice molto a location quali le arene da 15/20.000 posti e quindi la vedrei meglio se fosse un po più breve.
Eccellente la parte finale prima dei bis, "soliti" intramontabili pezzi, elegantissimi assoli, superlativo il blues di The Sky Is Crying e pubblico che si scalda per bene.
Nota dolente nel bis: perché si ostina da anni a propinarci quella insignificante (per me) Hightime We Went, quando potrebbe proporci dozzine di scelte migliori ?
Resterà un mistero, ma nel frattempo godiamoci quello che abbiamo (che è veramente tanto) e speriamo soprattutto di rivederci presto !